martedì 14 febbraio 2023

INTRODUZIONE DELLA GUIDA "GHIACCIO DELLE OROBIE"


(Una riflessione su quello che è stato per me vivere una avventura di 21 anni fra le montagne di casa che in parte viene raccolta in questa guida che per me è anche stata uno stimolo per accellerare l'attività nelle Orobie visto che la maggior parte della mia attività si è svolta nel resto delle Alpi)


 Mi ritengo una persona fortunata perché ho avuto la possibilità di vivere numerose giornate in mezzo alla natura. Ho un posto di lavoro che m’impegna molto ma che mi permette anche di ritagliarmi delle fette di tempo, grazie alle quali riesco a frequentare la montagna in piena libertà.

La vita non ti regala niente, nemmeno la natura stessa. Sono una persona normale, un alpinista di medio livello, che nella vita ha percorso tanti, ma tanti chilometri.

Le foto, che sono inserite nella guida “Ghiaccio delle Orobie” e che sono state pubblicate sui miei profili social e sul mio blog, sono la testimonianza più ricca e viva delle emozioni che la montagna ha saputo regalarmi. Un grazie immenso a mia moglie e alla mia famiglia; senza il loro appoggio non avrei potuto esplorare le montagne e raccogliere numerose informazioni direttamente sul campo.

L’idea di realizzare questa guida risale al 2011 quando ho sentito la necessità di schedare e catalogare tutte le salite invernali presenti nelle Orobie, che poi sono le montagne di casa. Sui social regnava la confusione. Il tutto ha poi preso forma durante una cena a Trento con l’amico Marco Romelli e mia moglie. Marco abbracciò senza indugio l’idea, ma a stimolarmi ulteriormente fu un articolo di Giuseppe “Popi” Miotti, che firma anche l’introduzione a questa seconda edizione, nel quale elencava una sessantina di itinerari sulle Orobie sia dal lato valtellinese che da quello meridionale.

Da quel giorno fu un lungo susseguirsi di salite, di esplorazioni, di lunghi giri con gli sci per scattare fotografie e salire cime, spesso poco conosciute, scalandone le pareti. Non sono mancate le aperture e gli incontri con numerosi alpinisti, che oggi sono diventati amici preziosi.

Per certi versi questa guida è il diario intimo di un lungo viaggio che mi ha portato a ripetere circa 200 vie e a compiere numerosi itinerari di scialpinismo, spesso in solitaria.

Oggi Marco, Matteo ed io consegniamo agli alpinisti un libro di quasi 600 pagine con presentate oltre 300 salite.

Dentro c’è di tutto. Dai semplici canali con pendenze moderate e facili passi di misto agli itinerari più ricercati e impegnativi. Ognuno troverà pane per i suoi denti.

Devo ringraziare l’amico e collega Matteo per aver contribuito, grazie alla sua passione per la storia dell’alpinismo, all’ampliamento della parte storica, ha portato alla luce delle vere chicche che per anni erano sfuggite. Dalla prima salita invernale della via Fasana al Pizzo della Pieve, ai documenti di fine ottocento pubblicati dalla sezione bergamasca del Club Alpino Italiano.

È affascinante capire e poi ripercorrere i passi di chi ci ha preceduto, in alcuni casi leggendo relazioni dell’epoca che trasudano di poesia ed eroismo.

All’interno del libro non troverete tutti gli itinerari. Ad un certo punto occorreva chiudere il “cantiere” e procedere con la stampa ma sono anche state fatte delle scelte etiche. Per questo motivo abbiamo rimandato scelte, decisioni o aggiornamenti a una successiva edizione.

A fianco di alcune salite viene consigliato l’avvicinamento con gli sci, ma in questi casi occorre tenere sempre ben presenti le condizioni nivo-meteorologiche.

Per quanto riguarda le linee moderne, quelle aperte negli ultimi anni, prevalgono le salite con lo stile classico e genuino, dove all’imbraco non deve mancare il martello (con i chiodi), una serie di dadi e friends e le viti da ghiaccio. In parete si dovrebbe lasciare pochissimo, meglio nulla.

Non mancano alcune linee a fix, che sono state aperte in questi ultimi due anni con uno stile diverso ma che richiedono comunque un certo impegno. La presenza di questi infissi non ci deve portare ad affrontarle con leggerezza. Mai confondere la solidità di un ancoraggio con l’adeguata preparazione. Mi piacerebbe che le nuove generazioni non esagerino con il posizionamento di ancoraggi fissi; una montagna pulita è decisamente da preferirsi.

I sentimenti che ho provato in questa lunga avventura sono stati vari: da un lato ci sono le giornate che ho vissuto e le persone con cui le ho condivise e che mi hanno aiutato a crescere; dall’altro lo sguardo sempre attento che ho avuto su queste montagne. Ho visto ripetere le mie linee e ricevere numerosi ringraziamenti, ma ho provato anche un pizzico d’invidia verso altri alpinisti che ne hanno aperte di bellissime e che mi avrebbe fatto piacere salire.

Purtroppo ho visto persone muoversi sui social network con poca umiltà e questo mi ha provocato un certo dispiacere.

Nel compilare questa guida abbiamo cercato di mettere ordine nelle aperture. Alcune vie nuove erano in realtà già state salite 20-30 anni fa.

Io non sono esente da errori. In passato ne ho commessi, ma oggi sono felice di ammetterlo e di camminare a testa alta. Lungo le pagine di questo libro troverete nella scheda introduttiva della via l’indicazione “primi salitori ignoti” e nella riga successiva la “prima salita nota”. L’ho fatto anche e soprattutto sulle mie salite. Dare l’esempio era doveroso. Quando si sale una linea logica, magari a poche ore dalla macchina è abbastanza difficile che questa non sia mai stata affrontata dalle generazioni che ci hanno preceduto.

Credo sia importante spostare il nostro baricentro: occorre valorizzare di più la giornata che viviamo in montagna con le emozioni che questa e i compagni di cordata sono in grado di regalarci. A quel punto anche l’ingaggio mentale assumerà una dimensione diversa.

Infine lancio una provocazione: è davvero così importante proclamare una prima salita? Io col tempo ho maturato una risposta: No! La cosa più importante è mettersi in gioco e scommettere su sé stessi. Il tempo e qualche appassionato di storia dell’alpinismo faranno il resto.

Inoltre oggi ho l’impressione che prevalga sempre il “salire a tutti i costi”. Manca una capacità di valutazione del terreno e delle condizioni. Com’è possibile affrontare le pareti con uno zero termico a 3000 metri? La gente ha veramente coscienza dei pericoli a cui si espone? Ha senso abbandonare la linea logica del canale per deviare su tratti illogici con il solo scopo di aumentarne o diminuirne le difficoltà?

Sui social e sui blog vengono spacciate per nuove delle linee che negli anni passati erano già state salite da alpinisti locali, spesso in solitaria e talvolta con attrezzi meno performati degli odierni. Vie a poca distanza dalla macchina. Per essere sicuri di essere i primi salitori, spesso, ci si deve trovare di fronte ad alte difficoltà e/o a pareti “scomode” e difficili da raggiungere.

Non voglio essere catalogato come la persona che giudica e stabilisce se effettivamente si tratta di una prima salita o meno. Chi sono io per sentenziare?

Ognuno deve prendersi le proprie responsabilità e agire con umiltà.

Quello che abbiamo realizzato non è il libro di Valentino, Marco e Matteo! Si tratta di un lavoro collettivo e corale che rappresenta un importante patrimonio di queste montagne.

Ora è giunto il momento di tornare sulle montagne e a dedicarmi alla mia famiglia e all’educazione dei miei figli. D’ora in poi tocca ai giovani raccogliere il testimone e proseguire quanto fatto con serietà, dedizione e sacrificio. Le nuove generazioni devono difendere fino allo sfinimento la storia dell’alpinismo e praticarlo con una etica elegante, logica e genuina.

Infine una considerazione legata al clima. È inevitabile che queste salite subiscano gli effetti del cambiamento climatico. Se il ciclone Vaia ha regalato al comparto orobico sensazionali condizioni con conseguenti salite spettacolari su pareti incredibilmente incrostate di ghiaccio, dall’altro ho potuto notare nei boschi del Trentino segni di tremenda devastazione, come ad esempio nel Parco dell’Adamello-Brenta o sull’altopiano di Pinè. Pedalando in MTB sono rimasto impressionato dalle enormi cataste di tronchi “parcheggiati” nelle piazzole a bordo strada in attesa della loro destinazione. Sono vent’anni che la situazione dei ghiacciai è critica. Basta pensare alla bellissima “Fetta di Torta” della Presanella, dove la via tracciata da Messner è completamente sparita.

Non possiamo vivere tutto ciò con superficialità; dobbiamo quotidianamente domandarci cosa stiamo lasciando ai nostri figli.

Negli ultimi due anni ci sono stati inverni secchi, miti e ventosi; caratteristiche climatiche assolutamente sfavorevoli per affrontare le vie di ghiaccio descritte in questo lavoro, tranne che per le linee di puro dry, come quelle presenti al Pizzo del Becco o sulla Nord del Pietra Quadra che con poca neve, offrono un accesso agevolato.

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